Sala di prossimità:
esiste già!!
di Francesco Giraldo
Nelle ultime settimane
è rimbalzata dai giornali la proposta di creare nelle periferie delle
città e nelle zone, là dove il tessuto sociale è maggiormente disgregato,
“le sale di prossimità”.
È innegabile che una sala cinematografica possa diventare elemento catalizzatore
per l’aggregazione sociale e favorisca la crescita umana e culturale.
Di più, una sala che non sia solo cinematografica e si configuri come
sala polivalente e multimediale costituisce, soprattutto per i giovani,
un luogo determinante per la loro formazione e per il loro svago.
Per il mondo delle
sale è certo un prospettiva molto avvincente, ma si è dimenticato come
già nel panorama italiano esistano delle sale che rispondono appieno a
questa esigenza. Sono le sale della comunità. La comunità cristiana attraverso,
anche, la sala della comunità è chiamata a confrontarsi con le nuove questioni
antropologiche, culturali e politiche degli uomini e della società di
oggi. Il prossimo che il cristiano incontra nella vita di tutti i giorni
non è un elemento accessorio alla sua vita ed al senso della sua fede.
Il prossimo diventa il banco di prova dove misurare la capacità di dialogare
e di credere. Il prossimo mi convoca, ancora prima che io lo designi.
L’altro è un’emergenza assoluta, costitutiva del mio essere umano e cristiano.
Incontrare l’altro non è un fatto strumentale, ma è elemento fondante
al riconoscimento dell’identità personale.
Si intuisce, allora, che per il cristiano i concetti “prossimo” – “prossimità”
non acquistino solo un valore meramente sociologico, ma siano investiti
da un chiaro significato teologico. Il concetto di “prossimità” conquista
una valenza squisitamente pastorale. È necessario allora costruire e valorizzare
quelle strutture che per loro natura adempiono a questa vocazione.
Costruire a fianco del tempio la sala della comunità significa inserirla
a pieno titolo nel piano pastorale della parrocchia. La vocazione, se
così possiamo dire, della sala della comunità è incontrare l’altro e con
l’altro misurarsi nella costruzione del mondo e della storia. “Questo
nostro mondo è attraversato da parte a parte da un’irruzione di messaggi
d’informazione, di sollecitazioni e di proposte che vanno dal trasmettente
al ricevente senza quella reciprocità del domandare e del rispondere che
è l’essenza stessa del dialogo.
Viviamo in una società
di spettatori e di ascoltatori, non di interlocutori”. Così Pietro Prini
denunciava la mancanza totale di dialogo nella società odierna. Mille
notizie e contrastanti comunicazioni sparate una dietro l’altra finiscono
per creare non solo confusione e allarmismi ingiustificati, ma creano
disgregazione e vuoti incolmabili. Dare reciprocità alla comunicazione
è compito ineludibile della comunità ecclesiale. Lasciare che il prossimo
interroghi la comunità cristiana serve alla comunità stessa per dare ragione
della sua fede. Professare la propria fede nel consesso degli uomini comporta
per la Chiesa la capacità di coinvolgimento totale nelle “cose” degli
uomini, fosse anche per rispondere alla humanitas insita nel nostro essere
chiesa.
La sala della comunità, in una situazione culturale sempre più spiazzante
e non omogenea dovrebbe diventare laboratorio in cui si esperimenta il
confronto e il dialogo con il mon-do e con la storia. Dopo Palermo, la
Chiesa Italiana è cosciente di attraversare un momento di transizione
epocale ma è anche convita di dover costruire, partendo dalla perenne
novità del Vangelo, un “progetto culturale orientato in senso cristiano”.
In tale contesto la
sala della comunità si inserisce con tutte le carte in regola. Non sfugge
a nessuno come la comunità ecclesiale debba accettare il fatto di una
non credenza generalizzata come premessa metodologica e orizzonte ultimo
da cui partire per comprendere il suo ruolo nel mondo. Una volta ammesso
che questo mondo ha cessato di essere religioso (nonostante quello che
ha conservato di “religiosità”) si sente la necessità di un modo di parlare
nuovo.
Nella sala della comunità non si dimostra la verità dei contenuti di fede.
C’è un rovesciamento di prospettiva: chiamando gli uomini ad agire nel
senso dello loro umanità, la comunità cristiana si fa’ “generosamente
prossimo di ogni uomo” (Gaudium et spes). Nel programma, che l’Acec si
è dato per il quadriennio 2001-2004, l’ampliamento e la centralità pastorale
della sala della comunità è un elemento fondante.
L’Associazione, caricandosi di un compito così arduo, stimola se stessa
e la Chiesa italiana ad una presa di coscienza decisiva sul valore pastorale
che la sala della co-munità assume nell’orizzonte dell’evangelizzazione.
Le nostre comunità parrocchiali sono sempre più spesso in-quiete ed insoddisfatte.
Il rinnovamento tante volte auspicato non è mai arrivato. La sala della
comunità diventa, allora, imprescindibile in questo cammino di riconversione
per la nostra pastorale.
Per questo le parole di mons.Pignatiello sono ancora illuminanti ed attuali:
“…la comunità ecclesiale ha bisogno di un luogo in cui possano essere
dibattuti temi urgenti e vitali in modo diretto, in un incontro con Dio,
ma nella mediazione immediata e sensibile dell’incontro umano.
E questi temi devono essere dibattuti anche sullo sfondo dei modi espressivi
con i quali l’umaninà di oggi, e soprattutto i giovani di oggi, ama manifestarli.”
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