Acec - impegni 2000-2004

 

Sala di prossimità: esiste già!!

di Francesco Giraldo

Nelle ultime settimane è rimbalzata dai giornali la proposta di creare nelle periferie delle città e nelle zone, là dove il tessuto sociale è maggiormente disgregato, “le sale di prossimità”.
È innegabile che una sala cinematografica possa diventare elemento catalizzatore per l’aggregazione sociale e favorisca la crescita umana e culturale. Di più, una sala che non sia solo cinematografica e si configuri come sala polivalente e multimediale costituisce, soprattutto per i giovani, un luogo determinante per la loro formazione e per il loro svago.

Per il mondo delle sale è certo un prospettiva molto avvincente, ma si è dimenticato come già nel panorama italiano esistano delle sale che rispondono appieno a questa esigenza. Sono le sale della comunità. La comunità cristiana attraverso, anche, la sala della comunità è chiamata a confrontarsi con le nuove questioni antropologiche, culturali e politiche degli uomini e della società di oggi. Il prossimo che il cristiano incontra nella vita di tutti i giorni non è un elemento accessorio alla sua vita ed al senso della sua fede.
Il prossimo diventa il banco di prova dove misurare la capacità di dialogare e di credere. Il prossimo mi convoca, ancora prima che io lo designi. L’altro è un’emergenza assoluta, costitutiva del mio essere umano e cristiano. Incontrare l’altro non è un fatto strumentale, ma è elemento fondante al riconoscimento dell’identità personale.
Si intuisce, allora, che per il cristiano i concetti “prossimo” – “prossimità” non acquistino solo un valore meramente sociologico, ma siano investiti da un chiaro significato teologico. Il concetto di “prossimità” conquista una valenza squisitamente pastorale. È necessario allora costruire e valorizzare quelle strutture che per loro natura adempiono a questa vocazione.
Costruire a fianco del tempio la sala della comunità significa inserirla a pieno titolo nel piano pastorale della parrocchia. La vocazione, se così possiamo dire, della sala della comunità è incontrare l’altro e con l’altro misurarsi nella costruzione del mondo e della storia. “Questo nostro mondo è attraversato da parte a parte da un’irruzione di messaggi d’informazione, di sollecitazioni e di proposte che vanno dal trasmettente al ricevente senza quella reciprocità del domandare e del rispondere che è l’essenza stessa del dialogo.

Viviamo in una società di spettatori e di ascoltatori, non di interlocutori”. Così Pietro Prini denunciava la mancanza totale di dialogo nella società odierna. Mille notizie e contrastanti comunicazioni sparate una dietro l’altra finiscono per creare non solo confusione e allarmismi ingiustificati, ma creano disgregazione e vuoti incolmabili. Dare reciprocità alla comunicazione è compito ineludibile della comunità ecclesiale. Lasciare che il prossimo interroghi la comunità cristiana serve alla comunità stessa per dare ragione della sua fede. Professare la propria fede nel consesso degli uomini comporta per la Chiesa la capacità di coinvolgimento totale nelle “cose” degli uomini, fosse anche per rispondere alla humanitas insita nel nostro essere chiesa.
La sala della comunità, in una situazione culturale sempre più spiazzante e non omogenea dovrebbe diventare laboratorio in cui si esperimenta il confronto e il dialogo con il mon-do e con la storia. Dopo Palermo, la Chiesa Italiana è cosciente di attraversare un momento di transizione epocale ma è anche convita di dover costruire, partendo dalla perenne novità del Vangelo, un “progetto culturale orientato in senso cristiano”.

In tale contesto la sala della comunità si inserisce con tutte le carte in regola. Non sfugge a nessuno come la comunità ecclesiale debba accettare il fatto di una non credenza generalizzata come premessa metodologica e orizzonte ultimo da cui partire per comprendere il suo ruolo nel mondo. Una volta ammesso che questo mondo ha cessato di essere religioso (nonostante quello che ha conservato di “religiosità”) si sente la necessità di un modo di parlare nuovo.
Nella sala della comunità non si dimostra la verità dei contenuti di fede. C’è un rovesciamento di prospettiva: chiamando gli uomini ad agire nel senso dello loro umanità, la comunità cristiana si fa’ “generosamente prossimo di ogni uomo” (Gaudium et spes). Nel programma, che l’Acec si è dato per il quadriennio 2001-2004, l’ampliamento e la centralità pastorale della sala della comunità è un elemento fondante.
L’Associazione, caricandosi di un compito così arduo, stimola se stessa e la Chiesa italiana ad una presa di coscienza decisiva sul valore pastorale che la sala della co-munità assume nell’orizzonte dell’evangelizzazione.
Le nostre comunità parrocchiali sono sempre più spesso in-quiete ed insoddisfatte. Il rinnovamento tante volte auspicato non è mai arrivato. La sala della comunità diventa, allora, imprescindibile in questo cammino di riconversione per la nostra pastorale.
Per questo le parole di mons.Pignatiello sono ancora illuminanti ed attuali: “…la comunità ecclesiale ha bisogno di un luogo in cui possano essere dibattuti temi urgenti e vitali in modo diretto, in un incontro con Dio, ma nella mediazione immediata e sensibile dell’incontro umano.
E questi temi devono essere dibattuti anche sullo sfondo dei modi espressivi con i quali l’umaninà di oggi, e soprattutto i giovani di oggi, ama manifestarli.”