Attenberg, di Athina Rachel Tsangari, in concorso alla 67ma Mostra del cinema di Venezia, narra la storia di Marina, 23enne che vive chiusa in un suo mondo, composto dall'amica mangiauomini (Bella) e dal padre, malato terminale, di cui deve occuparsi. La protagonista trova strani gli altri e guarda il mondo con attraverso le conoscenze etologiche che le vengono dai documentari di Sir Attengorough (dal cui nome, mal pronunciato, viene il titolo dell'opera). Lontana dall'essere come le ragazze della sua età, Marina ha spesso atteggiamenti che ricalcano proprio quelli degli animali dei documentari e costruisce con questi il perimetro delle persone a lei più care: con Bella e il padre scambia spesso versi e movimenti animali.

Il film ricorda le atmosfere del neorealismo e della nouvelle vague al tempo stesso, senza riuscire però né nella citazione colta di un genere, né nell'allusione complice con lo spettatore. L'inquadratura fissa, i campi medi, lunghi e lunghissimi, i pochi dialoghi, incapaci di catturare lo sguardo estetico del cinefilo non avvincono ma annoiano. La storia è costruita su personaggi che restano sulla patina della pellicola, senza lasciar scoprire la profondità della loro psicologia, e che mancano di un arco drammatico ben definito. Molta la strada ancora da fare per il cinema greco per arrivare ai virtuosismi cui aspira.