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The Invader   versione testuale
di Nicolas Provost

Il film, o almeno la sua metafora, si gioca tutta nei primissimi minuti. Una donna altera e bellissima prende il sole nuda su una spiaggia naturista, improvvisamente il mare porta a riva corpi, vivi o morti, di immigrati clandestini. Lei si alza, cammina tranquilla e superba verso uno di loro e i due restano immobili a osservarsi. C’è tutto il confronto tra due mondi opposti, c’è l’altezza scostante dell’occidente contro la disperazione assoluta degli immigrati, c’è l’attrazione e la repulsione da entrambe le parti, c’è l’ambizione e l’odio. Sarà così anche per il resto del film nel quale quell’uomo si metterà sulle tracce di una donna ricca e avvenente (una brava Stefania Rocca) fino a conquistarla e ad esserne rifiutato.
The Invader funziona fin qui, ma non oltre, non quando diventa un film classico, quasi di genere, in cui l’immigrato è travolto suo malgrado in una spirale di violenza. Anche il finale, altamente simbolico, non è evocativo come il prologo e non colpisce. È difficile ormai fare un film sull’immigrazione senza toni (giustamente) buonisti che restituiscono l’idea del già detto o del già visto, o del troppo ovvio: Nicolas Provost ci riesce a metà.
 
Alessandro Cinquegrani
 
 
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