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 Red Carpet - Notizie dai Festival - Speciali Venezia - Speciale Venezia 2012 - Fuori concorso - LULLABY TO MY FATHER 
LULLABY TO MY FATHER   versione testuale
di AMOS GITAI

Questa non è, almeno esplicitamente, la storia del padre del regista, ma quella di Munio. Falegname ebreo polacco, trasferitosi a Berlino all'inizio degli anni Trenta, per studiare nella prestigiosissima Bauhaus di Gropius. Ma è il tempo dell'ascesa di Hitler, Munio viene prima imprigionato e poi espulso. La sua decadenza è la decadenza dell'intero spirito della Bauhaus, che prevedeva un'armonia tra architetti e costruttori, tra il creare e il fare. Così Munio giunge in Israele, ma resterà insostenibilmente ancorato alla sua Europa. Il film è difficilmente inquadrabile in un genere o uno schema. A tratti è un documentario, che registra ricerche d'archivio, interviste, documenti editi e inediti, a tratti è una fiction che drammatizza alcuni passaggi della storia, come quella che condanna il protagonista al carcere nazista. A tratti, infine, è una composizione di immagini e sequenze allusive, ma meno dirette. E sono queste ultime che funzionano meglio, perché Gitai distende il suo talento visivo che abbiamo imparato a conoscere negli anni. Il resto nasce chiaramente da esigenze private, da un'urgenza che non trova una forma adeguata, da un'intensità emotiva diversa tra regista e pubblico, che pesa nell'economia dell'opera e provoca qua e là un ristagno narrativo difficilmente tollerabile.
 
Alessandro Cinquegrani
 
 
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