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LA MIA CLASSE   versione testuale
di Daniele Gaglianone

Un film di finzione? Un documentario? Un film che racconta un documentario o un documentario che racconta la realizzazione di un film? Difficile dirlo. La mia classe di Daniele Gaglianone stilisticamente è un film che slitta da un piano all’altro senza soluzione di continuità, ma poco importa perché è proprio questa la forza della pellicola.
Valerio Mastandrea è un professore di italiano per stranieri. La classe è composta di attori non professionisti che intrecciano le loro storie, vere o presunte, sullo sfondo delle lezioni di lingua e che si trasformano costantemente in buoni spunti per riflettere sulla condizione del migrante.
Senza cadere nel cliché, il film affronta tematiche in parte già note che ruotano intorno al tema dell’immigrazione (l’abbandono della propria terra, dei propri cari, le difficoltà d’integrazione, il lavoro, la legge, il sentirsi escluso), ma cercando di portarle sul piano dell’individuo e non delle statistiche, cadendo alcune volte anche nel patetismo, ma senza eccedere.
La forma compositiva della pellicola, che ricorda tanto la tecnica dello straniamento brechtiano di continua entrata e uscita dalla finzione, permette uno sguardo sufficientemente distaccato dello spettatore a cui è concesso di non immedesimarsi, ma di porsi alla giusta distanza per poter riflettere su quanto proposto e farsene un’opinione propria. Applauditi in sala, dopo la proiezione, non solo l’idea originale di realizzazione, il regista e Valerio Mastandrea, ma anche il gruppo di attori/non attori di molteplici provenienze che si sono saputi mettere alla prova, esponendosi in prima persona, in un prodotto cinematografico di tale portata e complessità.
 
Stefano Ruggeri
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