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THE PRESIDENT   versione testuale
di MOHSEN MAKHMALBAF

Dall’alto di un lussuoso palazzo, un dittatore e il suo nipotino, entrambi in divisa, si divertono a spegnere ed accendere una città intera con una semplice telefonata. A un certo punto cade la linea. Dalle strade oscure cominciano ad apparire bagliori e si odono esplosioni: qualcosa nel “gioco” non funziona più.
È l’emblematica scena d’apertura di The President, i primi fuochi di una rivoluzione che costringerà il despota e il nipote a fuggire a piedi e a travestirsi da musicanti di strada per evitare di farsi uccidere. Un vero e proprio ribaltamento del ruolo del tiranno, costretto a vedere e a subire miserie e violenze dal popolo che ha governato per decenni con pugno di ferro.
Il nipote dello spodestato, con il suo carico di innocenza e di curiosità, diventa il tramite attraverso cui il nonno ritrova il sé stesso bambino, quasi come se il piccolo fosse la sua coscienza perduta. In mezzo al clima tragico che il protagonista ha contribuito a creare, il nipote, testimone involontario e innocente, gli pone delle domande alle quali non riesce a rispondere se non con ordini perentori: “Tappati le orecchie”, “È così e basta”, “Metti le mani sugli occhi”.
Mohsen Makhmalbaf, regista iraniano in esilio volontario che col suo cinema ha denunciato molteplici forme di limitazione alla libertà dei popoli, firma una fiaba moderna sul potere e sulla speranza, spostandosi questa volta dalla parte del cattivo e rappresentando, come Chaplin settant’anni fa, un dittatore e un paese di fantasia ma neanche troppo…
 
Paolo Righini
 
 
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