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NABAT   versione testuale
d ELCHIN MUSAOGLU

 
Esplodono i mortai della guerra per l'indipendenza del Nagorno Karabakh dall'Azerbaigian (1992-1994) e le finestre della isolata casa di Nabat e del suo vecchio marito Iskender tremano, loro figlio è morto al fronte, non gli resta che una mucca e un piccolo villaggio di gente amica non molto lontano. La guerra avanza e il villaggio si svuota. Nabat vive l'esperienza della solitudine. Come la lupa grigia che vive nei dintorni della sua casa e che spesso viene a trovarla, anche lei vive sola e cerca di sopravvivere, nel silenzio delle montagne Azere interrotto solo dagli scoppi delle bombe.
A Nabat non importa nulla della guerra e dello scacchiere politico internazionale che in quella regione si sta muovendo, lei attende alle sue care cose, ai suoi ricordi e alla sua mucca. Ogni sera scende al paese e accende le lampade a olio di tutte le case e della moschea, come nel voler trattenere all'interno degli edifici le anime che le hanno abitate.
Un film, quello del regista Elchin Musaoglu, fatto di silenzi, di pleniluni, di suoni del bosco e di solitudine. Nabat è il suo mondo, che lentamente si è svuotato, tutto fugge da quel luogo, in un processo a togliere che mette a nudo quello che è stato e prepara il terreno di quello che sarà per gli uomini, quando torneranno ad abitare quella montagna ormai vuota, quel villaggio spettrale, quel pianeta senza più esseri viventi.
 
Simone Agnetti
 
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