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LA CALLE DE LA AMARGURA    versione testuale
di ARTURO RIPSTEIN

Un’umanità marginale e disperata cerca di sopravvivere come può. Ci sono due lottatori nani sempre nascosti nelle loro maschere, due prostitute che con l’età perdono clienti e lavoro, e poi mendicanti e ragazzini, dolcezze morbose e ferite inguaribili. Arturo Ripstein, maestro messicano che iniziò con Bunuel, fissa lo sguardo nel dolore, raffreddandolo con un bianco e nero lucido, e mitigandolo con una ironia tagliente e costantemente inevasa. È un’ironia beckettiana, a volte, assurda come e più della vita.
Il regista ricorre ad uno stile controllatissimo, giocando su parallelismi, dissolvenze, piani sequenza, che si mettano al servizio del racconto. Riesce così a confezionare un film perfetto per tutta la prima parte, quando costruisce un clima e un ambiente, mentre è meno forte quando racconta gli eventi del giallo, da cui peraltro è nata l’idea dell’intero plot. Ad ogni modo, La calle de la Amargura è certamente una delle migliori opere viste quest’anno al Lido.
(A.C.)
 
 
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