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MOUNTAIN   versione testuale
di YAELLE KAYAM

 
«Gerusalemme prega, Tel-Aviv si diverte e Haifa lavora» cita così un detto popolare israeliano che racconta delle tre maggiori città della nazione. La giovane regista israeliana Yaelle Kayam esordisce con Mountain lungometraggio il cui intento è raccontare i personaggi in relazione agli ambienti che abitano e come questa interazione li cambia nel profondo. Un’ebrea devota, giovane e giunonica, vive con il marito e i figli nella casa dei custodi del cimitero ebraico sul Monte degli Ulivi a Gerusalemme, luogo di incrocio delle tre grandi religioni carico di significati. Durante un funerale delle donne chiedono di andare al bagno e nel chiacchierare la ragazza si stupisce che, pur essendo di Tel Aviv, queste siano religiose osservanti. Il suo è un mondo fatto di piccoli incontri al limite del lecito. Chiacchiera con un uomo musulmano palestinese impiegato stabilmente nei lavori del cimitero. Sola per tutto il giorno attende il ritorno a sera dei famigliari passeggiando tra le tombe. Nell'intimità cerca di avvicinarsi al marito, il quale, preso dal suo lavoro di insegnante, dalla preghiera, dallo studio e da qualcosa di non raccontato nel film, evita ogni approccio fisico con la corpulenta donna. La frustrazione la porta a passeggiare nel cimitero anche di notte, quando scopre che il luogo sacro è utilizzatto da un gruppo di russi per la prostituzione di giovani ragazze. Lega con questi in un non esplicito intento di conoscenza del proibito.
La regista racconta ogni sottile mutamento dei desideri della donna: dalla voglia di andarse, alla ricerca della soddisfazione nel rapporto col marito, alla costruzione della felicità famgiliare a tutti i costi. Il tutto è vissuto sotto il pesante architrave del lecito, del religioso, del kosher, del contratto matrimoniale e dell'etica che la vita nella Città Santa impone.

(S.A.)
 
 
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