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MAN DOWN   versione testuale
di DITO MONTIEL

 
La bizzarra biografia del regista newyorkese Dito Montiel lo porta da anni ad un cinema di ricerca sulla vita, sul farsi e disfarsi dei legami affettivi, quasi fosse una terapia realizzata tramite lo strumento cinematografico. L'esordio nel 2006 con "Guida per riconoscere i tuoi santi" lo portò ad importanti riconoscimenti internazionali (tra cui Miglior Film alla Settimana della Critica nel 2006 a Venezia).
Man Down è il suo sesto film in otto anni. L'incombenza delle attuali guerre in medioriente, apparentemente distanti dalla pacifica vita sul suolo americano, lo ha portato a scrivere una storia claustrofobica. Gabriel Drummer è un marine di trent’anni, sposato con un figlio, congedato dalla guerra in Afghanistan. Alle spalle un'azione militare non riuscita in cui hanno perso la vita il suo migliore amico e dei civili. Gli spettatori sono condotti nel labirinto mentale del protagonista, sottoposto ad una seduta con un superiore per indagare l'accaduto e proiettato in un ritorno a casa nel quale la guerra ha devastato la città nativa e l'America non è più un luogo pacifico. Suo figlio è in pericolo.
Man Down non funziona pienamente, la cronaca di guerra in Afghanistan, così attuale e così dolorosa, male si mescola con il futuro distopico di una guerra giunta fino a ledere gli Stati Uniti. L'approfondimento del profilo psichico e allucinato del protagonista non giustifica a pieno alcune scelte di scrittura e la buona idea che stava alla base non pare compiuta. Forse la forma cinematografica troppo pulita non ha permesso un salto vero verso i profondi abissi della mente umana, cosa che è meglio riuscita nella sezione Orizzonti al film Krigen (Guerra) del danese Tobias Lindholm, sullo stesso tema, paesaggio mentale e scenario di guerra, ma con ben'altra capacità di scrittura e d'introspezione.
(S.A.)
 
 
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