cerca nel sito
 Red Carpet - Notizie dai Festival - Speciali Venezia - Speciale Venezia 2015 - Giornate degli autori - LA MEMORIA DEL AGUA 
LA MEMORIA DEL AGUA   versione testuale
di M. BIZE

Cinque anni dopo La Vida de Los Peces, il regista cileno Matias Bize torna al Festival di Venezia con La memoria del agua, film intimo e delicato che affronta la reazione di una giovane coppia alla perdita del loro unico figlio di 4 anni.
Non conosciamo nulla, da spettatori, di questo figlio, non ne vediamo nemmeno una fotografia, poichè il regista non intende mostrarci la vita "prima e dopo", ma ci cala direttamente nella sensazione di vuoto e di assenza assordante che deve affrontare chi rimane in vita.
Fin da subito capiamo che Amanda e Javier manifestano una reazione profondamente diversa di fronte a questo dolore inaspettato ed estraniante, dovuto ad un incidente tanto assurdo quanto evitabile. E proprio in ragione del loro diverso approccio alla morte, anziché condividere la fatica del lutto i due genitori si allontanano e si trovano a percorrere strade diverse.
Incapace di elaborare la perdita e di lasciarsi attraversare dalla sofferenza, Javier si aggrappa ai sapori, alle immagini, ai ricordi legati al figlio, cerca di proseguire insomma la vita del “prima”. Amanda invece non riesce più ad abitare la stessa casa e a guardare negli occhi il padre di suo figlio, perciò vorrebbe creare una cesura netta col passato e rifugiarsi in una relazione comoda. 
Se il dramma affrontato non è di certo una tematica inedita e la sceneggiatura è priva di particolari colpi di scena, la pellicola si distingue proprio perchè tratta con rispetto e onestà un tema che sfugge costantemente alla pretesa di univocità. E soprattutto apre ad un’interrogazione profonda e intrinseca all’esistenza: è lecito essere ancora felici dopo la morte di un figlio? In che modo possiamo farlo vivere dentro di noi?
Lunghi silenzi e sguardi realistici sono intervallati da brevi (ma potentissimi) dialoghi, dal momento che i personaggi - come afferma il regista stesso - si trovano a vivere e abitare il dolore, piuttosto che a parlarlo e raccontarlo.
Il registro dell’opera consente allora di indossare la pelle di Amanda e di Javier, di perdersi con loro per (forse) ritrovarsi, chiedendoci cosa tenere e cosa lasciare nel pesante tragitto.
 
(M.M.)
 
 
stampainviacondividi