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ISLAND CITY   versione testuale
di R. Oberoi

Tre storie diverse e autonome, ambientate a Mumbai, che immortalano con umorismo nero contraddizioni e paradossi dell’India contemporanea. Nella sua opera prima, la regista Ruchika Oberoi indaga infatti la problematica contaminazione tra ritmi e tradizioni di una cultura indiana millenaria e l’inarrestabile progresso tecnologico-comunicativo di matrice occidentale.
Il primo episodio vede protagonista un impiegato ligio e obbediente, letteralmente costretto dalla multinazionale per cui lavora a trascorrere una giornata di divertimento forzato, nella speranza che questi momenti di svago favoriscano il suo benessere e quindi abbiano un effetto positivo sul rendimento dell’azienda.
Si prosegue con la decisione, da parte di una timorosa madre di famiglia, di introdurre un televisore all’interno dell’abitazione durante il ricovero del marito dispotico e autoritario. A poco a poco la famiglia precipita in una totale perdita di realtà, provocata dall’immaginaria sostituzione del marito morente con il protagonista di una soap opera.
La terza parte mette in scena la vicenda di Aarti, giovane infelice e già promessa in sposa che, nel momento in cui riceve alcune romantiche (e anonime) lettere, crede di aver trovato il vero amore.
Gli episodi sono appunto indipendenti e al contempo collegati (forse troppo debolmente) all’interno della narrazione: è tuttavia l’inconsapevolezza della propria alienazione che accomuna le vite dei protagonisti. Il film intreccia quindi tragico e comico presentando con amara ironia scenari grotteschi in cui l’ordine e il controllo pervasivo di una società in trasformazione dissolvono ogni potenzialità e si impadroniscono di sogni, aspirazioni e progetti.
 
(M.M.)
 
 
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