Alberto Maria De Agostini, fratello del celebre editore, nel 1910, a 26 anni, parte come missionario per la Terra del Fuoco. Affascinato da quei luoghi incontaminati inizia una lunga attività di esploratore, con l’intento di mappare un territorio ancora sconosciuto, di battezzare quelle impervie montagne, e di fotografare e riprendere la natura. È quello il tempo in cui le popolazioni indigene vengono arbitrariamente sterminate dai conquistadores: intere popolazioni vengono annientate per la bramosia di ricchezza di pochi. De Agostini ha l’occhio appassionato del naturalista, ma anche dell’antropologo e riprende quelle vite caduche nel film pioneristico Terre magellaniche. I registi hanno a disposizione il materiale ideale per realizzare un documentario importante: c’è questo film, c’è la situazione storica nella cui metafora inserire il presente, c’è un uomo misterioso che non lascia scritti, c’è la meraviglia dei paesaggi della Patagonia. Eppure, ciononostante, grazie ad una fastidiosa e ridondante retorica, a uno stile che sfiora spesso il ridicolo, a una recitazione altisonante e teatrale, riescono nella difficile impresa di far dormire mezza sala alle otto di sera (l’altra mezza era già uscita).