Europa coloniale di inizio Ottocento, gli scienziati del Museo dell’Uomo di Parigi conducono uno studio sulle donne della tribù africana degli Ottentotti, volendo dimostrare la loro evidente vicinanza ai primati nella scala evolutiva darwiniana e la loro inferiore intelligenza. A farne le spese il corpo di una giovane donna sudafricana Saartjie Baartman, che finirà per essere musealizzato. Presso i sobborghi londinesi la ragazza è esibita a pagamento dal suo padrone e socio Caezar in una specie di fiera di fenomeni mostruosi, lei recita il ruolo della selvaggia Venere Ottentotta, a nulla valgono i suoi tentativi di riscatto sociale e la sua semi-libertà; dopo essere stata venduta ad un orsaro francese finisce per prostituirsi a Parigi, dove muore di una malattia non definita. Il nuovo film di Abdellatif Kechiche (Leone d’Argento per Cous Cous) è lento ma non noioso, capace di raccontare con la sua caratteristica ostinazione e sofferenza visiva i passaggi che hanno portato la protagonista dall’essere un fenomeno da circo per il popolo, all’essere oggetto di spettacolo in ville private di nobili fino alla sua tragica fine; questo a causa delle natiche sporgenti e delle grandi labbra molto pronunciate. Solo a duecento anni dalla sua nascita il corpo di Saartjie è tornato in Africa ed è stato seppellito. Il film racconta la vicenda con un certo distacco, non riuscendo quasi mai a coinvolgerci emotivamente, questo a causa di una scelta registica che ripetendo più volte la stessa idea in diverse situazioni e osservando gli accadimenti spesso con sguardo quasi esterno alle vicende, non sa portarci al livello della commozione più intima.