Alice e Mattia sono due anime sole, come i "numeri primi" di cui parla il titolo del film. Alice è zoppa a causa di una caduta sulla neve, Mattia un genio della matematica asociale e apatico. Alice ha alle spalle un padre esigente, che l‘ha spinta su una pista da sci a cui non era pronta (provocandone la caduta e la conseguente zoppia) e una madre incapace di imporsi contro la volontà del marito. Mattia ha una gemella autistica, gli viene chiesto di prendersi cura continuamente, "come un ometto", ripete la madre, anche se è solo un bambino. Alice e Mattia si incontrano al liceo: e riconoscono l‘uno nell‘altra qualcosa che li rende diversi dagli altri e che allo stesso tempo impedisce loro di avere relazioni umane profonde, onoste e sincere. Il fantasma del passato che si portano dentro non è comunicabile e determina l‘anoressia dell‘una e l‘autolesionismo dell‘altro. Tratto dal best-seller di Giordano omonimo, "La solitudine dei numeri primi" viene portata da Saverio Costanzo in concorso a Venezia. Su grande schermo, la storia dei due protagonisti segue il ritmo altalenante di continui flash back e flash forward, arrivando pian piano a scoprire il "ghost" che li rende simili e, secondo la lettura del regista, irrimediabimente soli. Il mondo vissuto dai bambini degli anni ‘80 e dagli adolescenti degli anni ‘90 è ben ricostruito, i punti di massima drammaticità sono sottolineati dalla colonna sonora fortemente evocativa e quasi preponderante sull‘immagine. Nonostante la bravura degli attori e l‘ottima fotografia, "La solitudine dei numeri primi" lascia i personaggi freddi sullo schermo, senza dar loro speranza di cambiamento, consegnandoli al ruolo di "anti-eroi" inetti alla vita tipico della letteratura del ‘900. Tiziana Vox