Arriva il primo film sorpresa della 67. Mostra del Cinema, si tratta dell’opera del regista cinese Wang Bing. La pellicola è una produzione franco-belga che scalfisce il mito dell’origine della moderna e rampante Cina. Nel 1960 il governo cinese condanna ai campi di lavoro forzato migliaia di cittadini e intellettuali considerati “dissidenti di destra” a causa delle loro attività e opinioni. Deportati per essere rieducati nel campo di Jiabiangou nella Cina Occidentale, nel cuore del Deserto del Gobi, lontani migliaia di chilometri dalle loro famiglie e dai propri cari, circa tremila intellettuali e dirigenti furono costretti a sopportare condizioni di assoluta povertà. A causa delle fatiche disumane a cui venivano sottoposti, delle condizioni climatiche estreme e incessanti e delle terribili penurie di cibo, molti morirono ogni notte nelle fosse dove dormivano. Con la tipica lentezza di un certo cinema orientale, vediamo scorrere gli ultimi giorni di alcuni di questi intellettuali prossimi alla partenza dal campo di rieducazione, in fuga nel deserto o malati terminali, spinti spesso fino al limite del cannibalismo o ben peggio per procurarsi cibo (topi, semi e addirittura vomito diventano commestibili per i prigionieri). Visto con occhi occidentali le fosse nelle quali vivono, lo strazio e la fame, fanno subito correre il pensiero alle trincee della Prima Guerra Mondiale o al fronte del Don in Russia agganciandoci ad un parallelo di sofferenza comune a molta umanità. Visto con occhi orientali “The Ditch” è una critica esplicita agli anni della rivoluzione maoista e al modo nel quale la “dittatura del proletariato” detenne il potere. Certo non si può non notare che il film è una produzione europea, di fatti la pellicola è scomoda e racconta un vicino passato che il potere cinese odierno non vorrebbe far riemergere, ne sono testimoni gli sguardi frastornati dei cinesi in sala alla fine della proiezione. Cina non è solo cinema main stream a Venezia. Simone Agnetti