Una sinfonia nostalgica sui sentimenti, confusi ma vitali, dei vent’anni. Una ricognizione malinconica ma suadente sulla giovinezza, incarnata in un timido studente universitario giapponese e in due ragazze che entrano in tempi diversi (ma con uguale intensità) nella sua vita. Tratto dal romanzo omonimo di Haruki Murakami, ambientato sul finire degli anni Sessanta, con la capitale nipponica pervasa da squilli di contestazione e di rivolta, Norwegian Wood di Tran Anh Hung è contrassegnato dalla ricerca dell’amore puro, ineffabile ma indispensabile. Le inadeguatezze affettive, la scoperta del sesso, lo struggimento per un amore finito tragicamente vengono raccontati con delicatezza e sensibilità: parole sussurrate, lettere spedite, telefonate ansiose, un repertorio che il regista vietnamita riprende dal suo film d’esordio, Il profumo della papaya verde, più che da Cyclo, vincitore del Leone d’oro nel 1995, collocandolo in una cornice visiva davvero suggestiva, nella quale la parola spesso è assente e a parlare invece è la natura, con il pulsare del vento e della pioggia nella campagna attorno a Tokyo. Le responsabilità dell’età adulta si intrecciano con il senso di perdita che accompagna la nostra esistenza. E così Norwegian Wood, sui titoli di coda, ci lascia con il rimpianto di non aver vissuto e amato abbastanza. Paolo Perrone CLICCA SULLA VIDEO-RECENSIONE