Un film senza dubbio autobiografico Somewhere, la nuova opera della regista americana Sofia Coppola, ispirato ad un infanzia che ha risentito della presenza di un padre famoso che l’ha spesso portata a vivere negli alberghi più esclusivi della Grande Mela. La Coppola, regista raffinata e malinconica, ci descrive con uno sguardo intimista e rivelatore, con più di un ora di immagini corredate da dialoghi quasi inesistenti e ininfluenti, il mondo del divo hollywoodiano Johnny Marco, interpretato da Stephen Dorff. Fin dal primo fotogramma ci si ritrova a scrutare, allibiti e sconcertati, l’universo stregato dell’attore annoiato, passivo, privo di una reale identità, che si divide tra la stanza d’albergo nel leggendario Chateau Marmont, dove si organizzano feste all’insegna di alcol, sesso e pasticche, e le conferenze stampa, le feste di gala, o i giri in Ferrari per le strade di una Los Angeles caotica ma indifferente. Sarà l’inaspettato arrivo della figlia Cleo a minare il mondo superficiale del giovane. Ha talento la Coppola ed è brava a descrivere, attraverso le immagini, le luci e la scelta delle musiche, sia l’universo voyeuristico carico di false certezze ed effimere soddisfazioni , sia il ritratto più superficialedi un uomo senza stimoli, padre assente, incapace di dare un senso alla sua vita. Ma qualcosa non decolla, e Sofia, pur dimostrando una notevole maturità e abilità nel girare una commedia graziosa e ironica, stilisticamente ben costruita, si fa prendere la mano, preferisce non indagare a fondo le esistenze di questi personaggi, dedica poco spazio alle psicologie dei protagonisti, prediligendo l’aspetto mondano della società hollywoodiana. Ma prima o poi bisogna fare i conti con se stessi. Ed è proprio grazie al rapporto con sua figlia, più ancorata ai piccoli aspetti della realtà quotidiana, che il divo hollywoodiano arriverà a scavare dentro di sé e trovare una prima risposta ai suoi tormenti esistenziali. Marianna Ninni