Il film, o almeno la sua metafora, si gioca tutta nei primissimi minuti. Una donna altera e bellissima prende il sole nuda su una spiaggia naturista, improvvisamente il mare porta a riva corpi, vivi o morti, di immigrati clandestini. Lei si alza, cammina tranquilla e superba verso uno di loro e i due restano immobili a osservarsi. Cè tutto il confronto tra due mondi opposti, cè laltezza scostante delloccidente contro la disperazione assoluta degli immigrati, cè lattrazione e la repulsione da entrambe le parti, cè lambizione e lodio. Sarà così anche per il resto del film nel quale quelluomo si metterà sulle tracce di una donna ricca e avvenente (una brava Stefania Rocca) fino a conquistarla e ad esserne rifiutato. The Invader funziona fin qui, ma non oltre, non quando diventa un film classico, quasi di genere, in cui limmigrato è travolto suo malgrado in una spirale di violenza. Anche il finale, altamente simbolico, non è evocativo come il prologo e non colpisce. È difficile ormai fare un film sullimmigrazione senza toni (giustamente) buonisti che restituiscono lidea del già detto o del già visto, o del troppo ovvio: Nicolas Provost ci riesce a metà.