Con il sofferto e caustico Dogtooth il regista greco Yorgos Lanthimos aveva vinto nel 2009 il Certain regard di Cannes. Il suo nuovo film, Alpis, prosegue lungo la stessa linea di indagine antropologica, con quattro individui (un paramedico, uninfermiera, una ginnasta e il suo allenatore) a proporre alle famiglie di persone appena defunte un servizio a pagamento di sostituzione dei propri cari scomparsi. La macchina da presa di Lanthimos registra con ostinata freddezza i nuovi, presunti nuclei familiari (i parenti e il fidanzato di una giovane tennista, una vedova ormai cieca, un uomo rimasto senza amico fraterno ), attenuando la glacialità di osservazione con una punta di ironia e concentrandosi sulla figura dellinfermiera. Lasciando volutamente fuori fuoco in molte inquadrature i genitori dei defunti, alludendo così con le immagini a una mancata elaborazione del lutto che non riesce ad attribuire i contorni di una ritrovata fisionomia, Alpis si colloca tra gli Idioti di Von Trier e la socialità disturbata di Haneke, senza però possedere la beffarda carica provocatoria del cineasta danese e la robusta riflessione filosofica del registra austriaco.