L‘autismo è da alcuni anni un tema molto battuto da cinema e letteratura. Fortunatamente: perché l‘autismo è una malattia ancora in gran parte misteriosa e per questo spaventosa per molti. Conoscerla aiuta senz‘altro ad accettarla e a conviverci. Anton ne è affetto dalla nascita, e via via le sue condizioni sono peggiorate. La regista decide di seguirlo costantemente con la macchina da presa che lui infine accetta come compagna di viaggio. La sua situazione precipita quando la madre, con la quale vive, scopre di avere una malattia incurabile che presto la porterà alla morte. Che ne sarà di Anton? Inizierà un lungo e difficile percorso per trovargli una sistemazione in case di cura belle e brutte, che lui vivrà spesso con dolore, altre volte instaurando legami imprevisti e unici. Sarà un percorso di formazione che si porterà un enorme carico di sofferenza, fino al lieto fine. La voce narrante ci fa sapere che la presenza della macchina da presa ha portato a un decisivo miglioramento delle condizioni di Anton, a un ritardo nella morte della madre, alla presa di coscienza del proprio ruolo da parte del padre. È questo l‘emozionante e commovente piccolo miracolo del cinema, a contatto diretto e tangibile con la realtà. Di fronte a tutto questo, lo spettatore può aspettare.