Se la civiltà di una nazione si misura sulla qualità del sistema carcerario, l’Italia deve fare davvero ancora molti passi avanti. Una situazione di degrado più volte denunciata dagli operatori e dalle associazioni che vi lavorano. Gaetano di Vaio registra, nel suo documentario napoletano, la penosa situazione delle donne parenti dei carcerati (mogli e figlie) cercando di cogliere, con estremo rispetto per ogni storia personale, il disagio creato da un sistema che fa acqua da tutti i buchi e lascia le famiglie abbandonate al loro destino: lunghe code sin dal mattino per un colloquio di meno di un’ora, lentezza infinita per una sentenza definitiva, abbandono delle istituzioni, suicidi di carcerati e secondini. Problemi noti, urgenti e mai risolti. Il documentario girato da Di Vaio si inserisce bene nella schiera di "rinchiusi" raccontati in questa edizione della mostra del cinema di Venezia anche da Celestini con i suoi matti e da Capuano che gira buona parte del film nel penitenziario minorile di Nisida (ancora Napoli). Finché i registi non smetteranno di raccontare, con coraggio e serietà, anche questa Italia possiamo sperare in un futuro migliore per il nostro paese. Matteo Franzoni