La Director’s Cut di Nymphomaniac si conferma molto vicina alla versione uscita nelle sale. E, com’è noto, il volume II è molto meno efficace del volume I. Qui il regista perde il filo della narrazione e nell’intento di tratteggiare la vera perdizione della sua Joe, ne perde di vista lo spessore etico – seppure un’etica del male – privilegiando una narrazione che ammicca al genere, che deve dimostrare un teorema prima che raccontare una storia. Quando le cose non scorrono anche l’estetica ne risente, e sono lontane le invenzioni visive del volume I, così come l’altezza tragica di sequenze come quella della morte del padre. Il destino di Joe è prevedibile, scontato, alcune scene scadono nel kitsch, la metafisica blasfema non coglie nel segno. Quando si prova a costruire film nuovi, mai visti prima, si può sbagliare, è un peccato quando capita a un autore dello spessore di Von Trier, ma non resta che ammetterlo. Resta però il valore assoluto di entrare in sala e assistere a un esperimento visivo e teorico, a un’opera filosofica e narrativa, che è esattamente quello che manca, non solo da quest’anno, alla Mostra del Cinema. Eppure tutto questo si trova in un’opera già vista, già uscita nelle sale… perché?